Una delle più antiche caratteristiche degli esseri umani, è il desiderio di conoscere il futuro per poter stare al mondo padroneggiando le proprie chances di sopravvivenza. Nell’infanzia dell’umanità, quando il pensiero astratto era poco sviluppato e i ragionamenti non avevano la forza che hanno nei tempi moderni, imperversava il cosiddetto pensiero magico, dove si immaginava, come fanno sempre i bambini, che la forza della volontà plasmasse il mondo: per conoscere il futuro ci si rivolgeva allora agli oracoli, che rivelavano la volontà degli dei e il destino deli uomini.
Questo bisogno ha dimensioni talmente dilaganti, che anche quando poi il pensiero si è strutturato con regole e modalità di verifica, la previsione magica del futuro è rimasta una passione umana, che nessuna evidenza logica è riuscita a estirpare. Il 1600, secolo che ha seguito la miracolosa fioritura del rinascimento, ha prodotto in Francia il fenomeno Nostradamus, che con le sue Centurie, un insieme caotico di immagini sconnesse, è stato creduto da moltissime persone anche non prive di intelligenza un indovino straordinario che ha visto in anticipo quello che sarebbe accaduto nei secoli futuri. Solo un desiderio sfrenato di previsione del futuro ha permesso di far pensare a queste persone che connettere un’immagine confusa con un qualche avvenimento rintracciato arbitrariamente in secoli di storia possa essere qualcosa che assomiglia a verificare delle previsioni, e non ad un’affermazione senza capo né coda.
La modalità attuale di prevedere il futuro, e specialmente di prevedere gli effetti delle proprie azioni,è il pensiero razionale: perché questo sia minimamente realistico bisogna però considerare vari fatti. Intanto, bisogna tener presente che qualsiasi previsione è a dir poco approssimativa, e pensare per esempio che uscendo senza ombrello quando piove ci si bagna è altamente probabile ma non certo: può smettere di piovere improvvisamente, oppure non piovere dove si sta passando. Anche che perdere il lavoro sia una disgrazia che comporta brutte conseguenze è abbastanza sicuro, eppure in certi casi si può risolvere in una fortuna: gli esempi sono infiniti, e fanno vedere la differenza fra certo e probabile. Il calcolo poi delle probabilità è uno strumento approssimativo anche se matematico, e funziona su grandi numeri e non su casi specifici, e quindi non si può in questo modo prevedere per esempio i risultati di una lotteria.
Malgrado l’evidenza, l’umanità non si rassegna al fatto che il futuro non sia prevedibile, e nel peggiore dei casi rinuncia al buon senso per adattare la realtà al proprio desiderio. Rientrano in questo numero gran parte dei ragionamenti sbagliati, che tentano di forzare risultati tanto irragionevoli quanto desiderati: la storia umana è piena di esempi in materia, e anche di sistemi sbagliati di ragionare, di cui le ideologie sono un esempio eclatante.
Sempre a proposito di ragionamenti corretti, quelli che a scuola hanno studiato la geometria euclidea dovrebbero ricordarsi che questa si poggia su dei postulati. Che significa questo? Semplicemente che anche qui il ragionamento si fonda su basi ipotetiche, che sono scelte arbitrariamente come fondamento dell’architettura di deduzioni che formano la geometria euclidea, o qualunque altro costrutto teorico. È dimostrabile matematicamente che qualunque ragionamento sottende necessariamente dei postulati, e che questi dovrebbero essere esplicitati perché possa essere veramente capito per quello che è, vale a dire una costruzione con un valore relativo, che prescinde da una validità del punto di applicazione.
Capire insomma richiede una modalità di procedere che rispetti le leggi della logica, mezzi essenziali per la conoscenza, mentre quando queste non vengono applicate si produce uno pseudocapire, cioè un capire sbagliato: da qui l’importanza delle sue leggi, della conoscenza dei loro strumenti e della loro verificabilità, soprattutto in quella necessità quotidiana del capire che riguarda la comunicazione, cioè il capirsi fra persone.
Proviamo intanto a elencare alcuni degli strumenti più immediati per una logica della comunicazione. Nella gestione corretta del linguaggio per esempio, è fondamentale:
-
Il rispetto della sintassi nella formazione delle frasi;
-
Fare attenzione alla connessione del pensiero astratto con l’esperienza concreta;
-
Tenere presente la differenza fra quello che viene detto e lo scopo per cui viene detto.
Si tratta di verifiche abbastanza facili da fare, ma per riuscirci bisogna conoscere:
- il modello corretto della struttura sintattica del discorso;
- la differenza concettuale fra astratto e concreto;
- la differenza fra comunicazione e metacomunicazione.
Per cominciare, la sintassi è un insieme di regole che assicura una funzionalità almeno minimale al discorso, e richiede la presenza di un soggetto, che indica il punto di provenienza dell’azione descritta dalla frase, e un verbo che indica la direzione e la qualità del movimento: a questo punto si presenta la considerazione che il movimento è diretto a un target, quello che nella sintassi si chiama il complemento oggetto. Quando questi tre elementi sono presenti, abbiamo il minimo di significatività possibile, che può essere ulteriormente differenziata dall’uso degli aggettivi, degli avverbi e delle proposizioni secondarie.
Riguardo alla differenza fra astratto e concreto, bisogna ricordare che l’astrarre è strumento per generalizzare l’argomento di cui si tratta, in modo da renderlo più leggero e poterlo connettere più agevolmente a un numero più elevato di elementi, allo scopo di evitare una visione troppo limitata. È un modo di “liofilizzare” l’esperienza in concetti, che dovranno essere alla fine del ragionamento “reidratati” in realtà percettibili sensorialmente: in caso contrario si creeranno solo costruzioni possibili, e a volte nemmeno probabili, quelle “illusioni grammaticali di cui parla Wittgenstein. Ragionando per esempio sulla teoria del complesso di Edipo, una volta accettata come plausibile l’ipotesi, si dovrà “reidratarla” nell’esperienza personale rievocando la propria infanzia e le problematiche di territorio intrafamiliare, per capire se queste sono riscontrabili soggettivamente e quanto quindi la teoria, che di per sé è astratta, si connetta alla realtà concreta.
La differenza poi fra comunicazione e metacomunicazione, riguarda il fatto che c’è l’oggetto della comunicazione e allo stesso tempo c’è l’azione del comunicare quell’oggetto, e questa si riferisce a una intenzione della persona che non si identifica con l’oggetto: c’è insomma sempre la domanda su perché sia stata fatta quella comunicazione, e a questa domanda si riferiscono due componenti, la spinta che l’ha causata e lo scopo, consapevole o meno, che la persona perseguiva.
Anche nella comunicazione spicciola è poi fondamentale chiarire i postulati impliciti nei ragionamenti: spesso per esempio i genitori procedono dall’assunto che loro hanno ragione, senza chiarire in base a quali postulati, e questo provoca per esempio diatribe anche gravi con i figli, che procedono da altri. I genitori affermano per esempio che i figli devono andare a scuola, senza pronunciare l’assunto che loro non potranno mantenerli tutta la vita e che se imparano certe abilità potranno poi lavorare meno e guadagnare di più. Neanche di solito dicono che la casa è loro e non dei figli, i quali sono, per così dire, ospiti: magari graditi ma sempre ospiti. I figli si illudono che stanno in un proprio territorio e non in quello dei genitori, e trovano inaccettabili le regole che questi mettono nella gestione della casa: se ci si appella alla logica non di rado hanno ragione i figli, anche solo perché il progresso porta modalità nuove e a volte migliori di amministrare la vita. Il fatto però è che non si tratta di differenze logiche nel ragionamento, ma di postulati, come quello che la proprietà è di chi la acquista o la eredita. La legge stessa sanziona che la casa sarà dei figli dopo la morte dei genitori e non prima.
Anche le discussioni politiche procedono da postulati, che sono gli interessi personali di chi parla: ricchi e poveri hanno basi diverse da cui partono per ragionare, ed è in questi che si situa la divergenza delle conclusioni. Ugualmente, le diatribe del mondo della psicologia sono spesso appoggiate a presupposti diversi, come una visione meccanica dell’essere umano oppure una concezione della vita basata sull’esistenza del libero arbitrio, dove le scelte dipendono solo in parte dal lato meccanico dell’organismo e delle tradizioni culturali: gli esistenzialisti dicono a questo proposito “non importa quello che ci tocca, ma quello che si fa di quello che ci tocca”.
Ragionare in conclusione è più o meno logico e comprensibile se si rispettano almeno queste considerazioni, in caso contrario è solo un vuoto” aprir bocca e dargli fiato”.